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Letture – L’armata dei sonnambuli

27 aprile 12015

Wu Ming
L’armata dei sonnambuli
Einaudi

Adunchi come becchi di rapaci,
arrossati dal gelo del mattino

(incipit in due endecasillabi perfetti, chissà se è voluto)

Sui Wu Ming il mio giudizio è sempre a due facce, da un lato mi piace come scrivono, con un bel ritmo narativo e con ottime trovate; dall’altro c’è poco da fare, sotto sotto e fra le righe si avverte l’aroma di quello che a Genova si definisce presumìn, non un’annacquata albagia alla Baricco, ma la presenza di un non troppo latente piedistallo, ecco quella magari sì.

Poco importa, se ne è letti e apprezzati di ben peggiori. Che in effetti, ci si accorge che questo libro deve aver avuto una gestazione assai lunga con una buona fase di ricerca delle fonti… che anche se i Wu Ming son quattro, è pur sempre un lavoro encomiabile.

Indifferente; è comunque un bel fogliettone storico, con qualche pretesa magari, ma ottimamente contaminato dai fumetti supereoristici e dal ragù alla bolognese. Dove le grandi figure del Terrore, da Robespierre alla Corday passando per il subito decollato Luigi XVI, sono poco più che cammei aventi il solo scopo di completare correttamente l’arredamento. Come pure gli (ampi) estratti di documenti d’epoca (toh, di nuovo l’odore di presumìn) ad ogni cambio di scena; sì, perché un’altro fil rouge di tutto il romanzo è il teatro: è un attore il bolognese “emigrato” Léo che finirà per indossare i panni dell’ammazzaincredibili Scaramouche (in giro fra le recensioni c’è che lo accomuna a V per Vendetta, chi all’Uomo ragno… io sarò fissato, ma continuo a vederlo -e non son solo- come Batman, il mio preferito Cavaliere oscuro…), teatrale è la suddivisione della storia in Atti e Scene -rapidi e ben alternati- anziché in capitoli.

– Dov’è finito Léo? D’Amblanc scrutò dalla parte opposta, dove uno sparuto lampione resisteva alle tenebre e illuminava la bufera di stracci ghiacciati.
– Sono convinto che se l’è cavata.

(poche balle, questo è Batman che -non- saluta il commissario Gordon…)

La storia è incentrata grosso modo negli anni della Rivoluzione “tradita” dopo il Grande Terrore dell’Incorruttibile Maximilien, per l’esattezza nei due anni successivi al rotolamento della testa del cittadino Luigi Capeto (due anni esatti, a dire il vero…)

Si narrano le vicende parallele di tre “eroi”, che in alcuni commenti al romanzo trovati in rete e nel sito degli autori vengono associati ai tre mot clé giacobini: Scaramouche (liberté), ex attore italiano che nella confusa Parigi di quegli anni “prende armi contro un mare di guai” e combatte nella notte i controrivoluzionari assoldati più o meno segretamente dagli aristo; Marie Nozière (égalité), sarta del quartiere di Sant’Antonio, il “foborgo più rivoluzionario di Parigi” -sul lessico ci torno- che dopo varie peripezie con l’amato-odiato figlio Bastien, frutto di uno stupro aristocratico, fra amazzoni in calzoni e abissi di etilismo finirà col mutarsi pure lei in eroina in incognito (e che eroina, che personaggio e che citazione “pop”! La sua sola presenza nel libro concede l’indulgenza plenaria agli autori per il peccato di presunzione citato all’inizio); e il dottor D’Amblanc (fraternité) di origini borghesi a differenza dei primi due popolani, mesmerista o come diremmo oggi ipnotista, dotato forse di qualche eccesso di buoni propositi e di fiducia nel genere umano, o almeno in una parte di esso. E le cui avventure in Alvernia sembrano gli episodi di un serial fantahorror dei giorni nostri, fra X-Files e Supernatural.

E naturalmente non può mancare il grand vilain, per il quale alla fine tutte le sottotrame confluiranno, un malvagio con tutti i crismi, che dopo un ben poco brillante tentativo di salvare Luigi XVI, userà il mesmerismo per combattere i sanculotti (solo per questo?) con la sua armata di… verrebbe da dire zombie più che sonnambuli. Le citazioni, strizzate d’occhio, cammei o similtali sono innumeri, oltre alle varie immagini supereoristiche già citate (la Gioventù dorata, un “Viva l’A…” che rimanda a Trieste di ieri e di oggi, anche un pensiero a Domenico Modugno all’inizio del primo atto, e via così)

Per tacere del convitato di pietra dietro a tutto questo, il riconoscere purtroppo i paralleli fra la Rivoluzione Francese con i suoi fallimenti e le ‘rivoluzioni’ successive, tradite per la “troppa bontà” dei rivoluzionari o per certi pelosi e forse ancor più pericolosi e infidi richiami alla “moderazione”: è appena passato un 25 aprile quasi in sordina, e non posso non pensare a come si stia cercando di rivalutare l’indifendibile, e purtroppo non da oggi (si parva licet, trovo che anche i renziani che impestano il paese sono uno dei tanti avatar dei reazionari muschiatini del romanzo; mentre i grillini perosnalmente li vedo meglio nella parte dei sonnambuli); oppure, lasciando la voce alla mia parte più oltranzista, riflettere sull’amnistia voluta illo tempore da Togliatti e avere un inconfessabile brivido oscuro mentre leggo

Prima era comunque un bello smazzo, si faceva la fame e tutto, ma i giochi erano aperti, mentre dopo… Dopo è andata ben peggio, e peggio ancora. Indiragionperculo, preparati ché arriva la storia del Grande Smerdo, quello che noi non si poteva più dire niente, perché niente era più in nome nostro, anzi, era proprio in nome di qualchedunaltro, cioè di quelli che non eravamo riusciti ad accorciare. Ci si incazza ancora, a pensarci oggi… Comeché la vuoi mettere e comeché l’abbiano messa e la metteranno, alla fine la verità è una e una sola: ne avevamo tagliate troppo poche.

Ma veniamo al lessico. Che non è male l’idea di far parlare il tedesco Mesmer come i tedeschi delle barzellette o dei telefilm USA, sia pure ad un livello più “alto” (kranko per malattia non è male); o il Goldoni in mezzo veneto; o leggere Scaramouche sfogarsi nel suo bolognese. Anche il popolano dei popolani non sarebbe male, e per un ateo mangiapreti come me leggere le ormai edulcorate bestemmie francesi ‘translitterate’ in italiano è un piacere perverso (negoddio, sangueddio, il parisien-petroniano boiaddio, sono ormai entrate nel mio intercalare comune… mi sfugge ancora l’origine di un poco chiaro svitoddio citato credo una sola volta, ma continuerò le ricerche).

Ma hélas, altre italianizzazioni (bruttino come termine, eh?) mi fanno scarunfî, come si dice ici à Gênes. Perché sarà che ho un certo penchant per la lingua francese, ma se pure posso sopportare la parola foborgo al posto di faubourg e le versioni italiane di San Michele, San Martino, Sant’Antonio (faccio finta di ignorare Sant’Onorio che spero inutilmente non sia Saint-Honoré); davanti alle Tegolerie e soprattutto al palazzo Egualità, lo giuro, devo controllare l’ira. Problema mio, senza dubbio. Ma non si può immaginare quanto mi abbia alterato durante la lettura, mortoddio!

(Un respiro per calmarmi) Comunque, lettura più che consigliata. Maxime ora che i Wu Ming hanno rilasciato, come loro solito, l’ebook gratuito sul sito http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=20879#more-20879

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